La restituzione del bene oggetto di comodato: Aspetti problematici e ingiusto arricchimento.
Il comodato è il contratto “reale” con il quale una parte, detta comodante, consegna all’altra, detta comodatario, una cosa mobile o immobile, affinché questa se ne serva per un tempo o un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta, ma senza essere tenuta a pagare alcun corrispettivo.
Il contratto, essenzialmente gratuito, viene stipulato tra le parti ed ha ad oggetto un bene inconsumabile e non fungibile al fine di permetterne al comodatario l’uso, tramite il trasferimento della sola detenzione della cosa, e senza alcun corrispettivo in favore del comodante.
Dalla nozione codicistica dell’art. 1803 c.c., e dagli articoli a seguire del Capo XIV, ben si evince la duttilità e la facile applicabilità del contratto di comodato al caso concreto, motivo per cui, non soltanto risulta tra i maggiormente diffusi, ma, proprio per tale circostanza, la fattispecie si presta a non poche questioni che sorgono nella prassi applicativa; in particolare, in alcune ipotesi, l’obbligo del comodatario di restituire la cosa al comodante potrebbe divenire l’aspetto che presenta maggiori criticità.
Nello specifico, il comodato viene tradizionalmente definito come un contratto bilaterale imperfetto; infatti, da esso nasce, di regola, un’obbligazione a carico del solo comodatario, tenuto a restituire la cosa, o alla scadenza del termine convenuto, per l’avvenuta l’estinzione del contratto e da cui sorge il conseguente obbligo contrattuale di restituzione del bene ricevuto, o prima della scadenza dello stesso, qualora il comodante, su cui gravano i relativi oneri probatori, abbia la necessità di dover appagare impellenti esigenze personali.
L’art. 1808 c.c. esclude il diritto del comodatario al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa, attribuendogli però il diritto di essere rimborsato delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, se queste erano necessarie e urgenti.
È opportuno precisare, infatti, che tale obbligo restitutorio grava sul comodatario anche ed a prescindere dalla circostanza che abbia assunto a suo carico considerevoli oneri, per spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, in vista della durata del bene concessogli in godimento.
L’art. 1809 c.c. continua disponendo che “Il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto” al secondo comma “se però, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata”.
Nel caso di inadempimento del comodatario dell’obbligo di restituzione, tale condotta è idonea a produrre un danno patrimoniale al comodante che sarà chiamato a risarcire, ove non provi che l’inadempimento sia stato determinato da causa a lui non imputabile.
Dunque, al comodatario non sono rimborsabili le spese straordinarie non necessarie ed urgenti, anche se comportino miglioramenti per il bene oggetto del comodato, tenendo conto della non invocabilità da parte del comodatario stesso, in quanto né possessore né terzo, dei principi di cui agli artt. 1150 e 936 c.c. ed altresì della mancanza di un diritto ad essere indennizzato per le migliorie apportate. (cfr. Cass., sez. III, 11 maggio 2010 n. 11374)
La gratuità dell’uso del bene concesso in comodato, infatti, incide anche sulle spese straordinarie non necessarie ed urgenti sostenute per l’utilizzo della cosa, le quali, anche se apportano delle migliorie non sono rimborsabili dal comodante, dovendosi riconoscere al comodatario soltanto l’esercizio dello ius tollendi per le addizioni. (Cass. 10 luglio 2018 n. 16063).
In conclusione, il comodatario che, avendo sostenuto delle spese ordinarie o straordinarie non necessarie ed urgenti, si sia vista rigettata l’azione di rimborso avanzata ai sensi dell’art’1808 c.c., non può nemmeno esperire quella generale di illecito arricchimento, atteso che il requisito di sussidiarietà evocato dall’art. 2041 c.c. non consente che la relativa azione possa essere utilizzata in alternativa subordinata a quella contrattuale per eluderne gli esiti sfavorevoli, ove quest’ultima, sebbene astrattamente configurabile, non consenta in concreto il recupero dell’utilità trasferita all’altra parte, essendo piuttosto essa finalizzata ad impedire che gli spostamenti patrimoniali privi di giusta causa tra soggetti terzi, per l’inesistenza o la nullità di un rapporto contrattuale, debbano essere retrattati nei limiti del minor valore tra arricchimento e danno. (Cass., sez. II, 27 gennaio 2012, n. 1216).