A seguito di licenziamento per riduzione del personale, il lavoratore, ritenendo illegittimo tale atto di risoluzione del rapporto di lavoro, ha convenuto in giudizio il proprio datore di lavoro per ottenere la condanna del medesimo alla reintegra nel precedente posto di lavoro, con le consequenziali statuizioni risarcitorie, nonché al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e dei crediti retributivi ancora dovuti.
La sentenza passava in giudicato per mancata impugnazione da parte del datore di lavoro.
Il datore di lavoro rimaneva inadempiente sia all’ordine di reintegra sia alla statuizione di condanna al pagamento delle somme riconosciute in sentenza, motivo per cui il lavoratore promuoveva procedura esecutiva per il recupero delle somme dovute.
In particolare, con riferimento alla reintegra, il datore di lavoro proponeva al lavoratore, in diverse occasioni, una nuova assunzione con qualifica e mansioni, però, differenti rispetto al posto di lavoro occupato in precedenza, motivo per cui il lavoratore rifiutava.
A quel punto, il datore di lavoro adiva il Tribunale di Siracusa – Sez. Lav. – ritenendo che il lavoratore non poteva vantare nei suoi confronti alcun credito per le somme che avrebbe potuto percepire in data successiva alle offerte di lavoro sopra richiamate, se le avesse accettate, e chiedeva che dal credito riconosciuto al lavoratore a titolo di risarcimento del danno venissero dedotte le somme che avrebbe percepito quest’ultimo se avesse accettato le suddette proposte di lavoro.
In primo grado, il Tribunale di Siracusa dava ragione al lavoratore, ritenendo che le proposte lavorative del datore di lavoro avessero natura differente dall’adempimento dell’obbligo di reintegrazione statuito precedentemente con la sentenza del medesimo Tribunale.
Non ritenendosi soddisfatto, il datore di lavoro proponeva appello dinanzi alla Corte d’Appello di Catania, la quale anch’essa dava ragione al lavoratore, patrocinato dall’Avv. Stefano Galofaro, accogliendo l’eccezione preliminare formulata dal lavoratore e condannando il datore di lavoro al pagamento anche delle spese processuali.
Infatti, i Giudici di secondo grado hanno statuito che il datore di lavoro avrebbe dovuto far valere le proprie doglianze nell’ambito della sopra citata procedura esecutiva intrapresa dal lavoratore per il pagamento delle retribuzioni non corrisposte, attraverso lo strumento dell’opposizione all’esecuzione e non già, in via autonoma, attraverso un giudizio di cognizione ordinaria, tardivamente intrapreso con il ricorso che ha originato la sentenza impugnata e che, quindi, è stato respinto.
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